Ciao! Sono Nicoletta, mamma di Carola nata a 33+6!
Ti scrivo la mia storia per la giornata dedicata ai bimbi nati pretermine. Certo quella di Carola non era una prematurità grave, ma credo che ogni storia in sè raccolga qualcosa da cui imparare.
Quando ho scoperto di essere incinta non ci potevo credere! Anche perchè è accaduto proprio durante una visita fatta per accertare le cause della poliabortività, che mi aveva portato via due sogni a sei settimane di gestazione.
La gravidanza è iniziata con una gran cautela, visto le due precedentemente andate male. Mi sentivo come se stessi tenendo in mano un uccellino di cristallo, talmente fragile che se non fossi stata abbastanza attenta si sarebbe frantumato in mille pezzi!
Nonostante le mie attenzioni e i miei scrupoli, i primi problemi non tardarono a presentarsi: a 10 settimane tutto d’un tratto mi ritrovai in un lago di sangue, da lì la corsa in ospedale con la quasi certezza di averlo perso di nuovo, anche se qualcosa dentro di me mi diceva che quella piccola scintilla di vita era ancora lì.
E infatti era proprio così: nonostante tutto lei si muoveva e si agitava, e il suo cuore batteva forte e sano!
Da lì cominciò un calvario, un andirivieni in ospedale con continue emorragie e diagnosi poco certe: utero setto, distacco di placenta, minaccia d’aborto e chissà cos’altro, ma lei era sempre lì e sembrava che niente la toccasse, cresceva e andava avanti come se niente fosse.
A 20 settimane improvvisamente il calvario cessò. Così come erano arrivate, le emorragie cessarono e finalmente potei iniziare a godermi un po’ quella tanto agognata gravidanza. Prima molto timidamente e con mille timori – con la paura di ricadere nel baratro da un momento all’altro – poi sempre più fiduciosa che sarebbe andato tutto bene.
E così, arrivò la notte del 6 ottobre, il giorno del compleanno di mio papà. Non avevo ancora compiuto le 34 settimane di gestazione. Quella notte mie ero svegliata mille volte per il solito appuntamento con il bagno, visto che il pancione cominciava a pesare; alle tre mi girai su un fianco, diedi un piccolo colpo di tosse…e sentii come se un palloncino si fosse rotto e tutto d’un tratto mi ritrovai bagnata fradicia.

Dissi a mio marito che mi si erano rotte le acque, all’inizio lui non ci voleva credere, ma la chiazza di bagnato sulle lenzuola e i miei pantaloni zuppi lasciavano pochi dubbi.
Andammo in ospedale, ero stranamente calma nonostante tutto. All’ospedale in cui ero in cura a Vigevano, però, non potevano tenermi, il limite minimo per loro non avendo patologia neonatale, erano 36 settimane, così venni trasferita a Pavia.
Mi sentivo persa, in un ambiente che non conoscevo, senza sapere cosa sarebbe successo!
Le contrazioni erano poche, ma – lo capii dopo – ad ogni contrazione il battito della bimba scendeva.
I medici preoccupati tentarono di fermarle, anche per poter praticare la terapia polmonare alla piccola prima della nascita. Fortunatamente la terapia andò bene e così iniziarono i tre giorni più lunghi della mia vita, passati nel blocco parto, tra terapie di cortisone, antibiotici e poi induzioni per far tornare le contrazioni…che non si fecero più vedere.
Alla fine, la mattina del terzo giorno fu deciso per il cesareo.

Carola venne alla luce alle 12.15 di un sabato di mattina di ottobre, il 9 oer la precisione. La sentivo urlare come una matta ed era un sollievo per me ogni suo vagito. Ancora speravo di poterla avere accanto a me dopo la nascita, mi era stato detto che se fosse stata sopra i due chilogrammi non sarebbe andata in incubatrice, ma pesava solo 1,910 kg per 43 cm… “La bimba è un po’ piccina, va in paologia neonatale!” mi dissero.
Ero felice che stesse bene, che non avesse problemi, ma quelle parole mi fecero sentire come se avessi fallito qualcosa.
Nei giorni seguenti questa sensazione aumentò sempre di più, vedere le mamme con i loro piccini accanto al letto e sapere che la mia era chiusa in una scatola di plastica, addirittura in un altro edificio che dovevo raggiungere in ambulanza, è statp qualcosa di veramente tremendo. Mi sentivo come sospesa in un universo parallelo, quasi che fosse un sogno e che non fosse vero.
Riuscii a vederla solo il giorno dopo che era nata. Mi trasportarono in ambulanza con i dolori lancinanti dei punti, dati anche da quasi sette mesi passati immobile a letto. Lei era così bella e così piccina! Sembrava una fatina!
Per fortuna non aveva altri problemi, se non l’essere così piccola! Mangiava solo 5 ml di latte!
I primi 4 giorni andarono per il meglio. Imparai a cambiarla, impacciata dai movimenti ristretti nell’incubatrice. Poi il terzo giorno me la trovai nella culletta, con una tutina in un ci sarebbe potuta entrare due volte, ma potevo tenerla in braccio e coccolarla! La speranza che quell’avventura finisse in fretta stava diventando sempre più grande.
Il colpo arrivò il quinto giorno: appena arrivata la cercai dal vetro nella stanza dove l’avevo lasciata la sera prima…ma non c’era. Un’altra mamma dall’interno mi fece capire che era stata trasferita in un’altra stanza…considerato che quella in cui era, era l’ultimo stadio prima della dimissione, non poteva che essere regredita.
La trovai di nuovo nuda e in incubatrice, in una stanza solitaria, una stanza d’isolamento. Nessuno ci diceva nulla e dovemmo aspettare un medico per capire cosa fosse successo.
Ci dissero che aveva l’addome gonfio, che non sapevano da cosa fosse dovuto, che poteva trattarsi di tutto. Che in mancanza di una diagnosi sicura la stavano curando tenendo in considerazione l’ipotesi peggiore, ovvero enterocolite necrotizzante, o NEC.
Iniziarono così giorni di digiuno, di esami su esami, di antibiotici, flebo e macchinari che suonavano facendoti prendere sempre un colpo. Io continuavo a tirare ogni goccia di latte che potevo e a congelarla nella speranza che prima o poi la mia piccola avrebbe potuto mangiare. Passavo ogni momento con lei accarezzandola, facendole sentire che, anche se non potevo prenderla in braccio, la mamma era lì.
Andammo avanti così per 20 giorni, tra alti e bassi, tra tentativi di ripresa a mangiare e ricadute. Ricadute che erano sempre colpi più pesanti.
Alla fine la diagnosi fu Norovirus. Norovirus che nel frattempo aveva infettato la metà dei bambini, degli scricciolini ricoverati. Nessuno seppe dirci da dove fosse arrivato.
Era quasi passato un mese da quando Carola era nata, e da pochi giorni aveva finalmente ripreso a mangiare. Ormai mi ero messa il cuore in pace che non l’avrei avuta a casa ancora per un po’!
Invece il 6 novembre, il giorno del mio compleanno, ricevemmo una telefonata dalla patologia neonatale, telefonata che all’inizio ci spaventò, ma che poi ci portò la notizia più bella e il regalo di compleanno migliore che mi fosse mai capitato. E che mai mi capiterà. Carola sarebbe tornata a casa il giorno seguente.
La portammo a casa, felici e spaventati nello stesso tempo, timorosi e con il desiderio di averla tutta per noi, per coccolarla, tenerla in braccio e darle tutto ciò che non le avevamo dato in quel mese. E così fu.
Sono passati 3 anni da quel giorno, Carola è diventata grande ed è una bambina meravigliosa. Nel frattempo, un mese fa è arrivata Miriana, nata a termine e senza problemi, da una gravidanza fantastica, ma quei giorni non potremo mai dimenticarli.

So che sembrerà uno stereotipo, ma per chi non ha provato l’esperienza della terapia intensiva neonatale, è difficile capire, non nel senso che si possieda poca sensibilità, ma è un mondo a parte, totalmente a parte.
Ogni tanto mi capita di ritrovarmi in mano quelle tutine, quelle calzine in cui navigava, poi la guardo e mi dico com’è diventata grande…e mi si apre il cuore!
Questa è la mia testimonianza, mi scuso se mi sono dilungata un po’, ma mi rendo conto di non essere comunque riuscita a dire e a esprimere tutto quello che avrei voluto.
Grazie comunque per aver voluto onorare questo giorno, e tutti i piccoli gnometti e fatine che hanno avuto fretta di venire al mondo.
Nicoletta, una mammarisparmio
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